ENERGIA FOSSILE: ELEMENTO CHIAVE DELLA NOSTRA CIVILTA’.
Per l’uomo moderno è privilegio, opportunità, minaccia letale…
(in questo articolo ho cercato di sintetizzare uno dei temi trattatati nella mia tesi di Master a cui tengo particolarmente e che non vedo abbastanza dibattuto: la pervasività dell’energia fossile in ogni aspetto della nostra società e della nostra civiltà, ben oltre quello che ci aspetteremmo di trovare. Una pervasività che a mio avviso va compresa se vogliamo veramente fare la transizione ad un modello sostenibile)
La nostra civiltà, ad un certo punto della storia ha avuto un grande privilegio, che ha saputo trasformare in opportunità di sviluppo e che ora però, si è tramutato nel suo problema più grande, probabilmente una minaccia letale per la sopravvivenza stessa della specie. Si tratta dell’enorme disponibilità di energie fossili a basso costo. Enormità di cui non abbiamo alcuna consapevolezza (1). Su questo presupposto abbiamo plasmato ogni aspetto della società. L’economia in primis, sia come scienza sociale, sia come sistema di produzione e scambio di merci e servizi basato sul mercato. Lo stesso però è avvenuto con ambiti più lontani come la cultura, la visione del mondo, il pensiero …
L’incidenza dell’energia sull’economia sembrerebbe un fatto evidente, ma non è così. Solo recentemente infatti, alcuni autorevoli studiosi, Robert Ayres e Benjamin Warr, hanno dimostrato quanto il “PIL” di un Paese è basato quasi esclusivamente sulla disponibilità di energia a basso costo: certo anche sul lavoro e sugli altri mezzi di produzione; sul capitale, sulla conoscenza e l’innovazione, ma preponderante su tutti è l’energia o meglio l’exergia (2). E come il PIL, anche lo stesso insensato paradigma della crescita economica illimitata, è in realtà figlio dello stesso fattore: l’energia, disponibile in quantità mai viste prima nella storia dell’uomo.
Eppure normalmente, in economia e nel senso comune, l’energia è considerata uno dei fattori produttivi fra i tanti in gioco, non certo quello determinante e imprescindibile. Non solo: l’accessibilità a grandi quantità di energia è considerata un fattore sottinteso, scontato. Alla stregua di un bene naturale “illimitato”, come l’aria, come l’acqua, come il sole che sorge la mattina. Certo l’energia ha un prezzo. In ciò è diversa dai beni naturali non limitati che secondo l’economia classica, non hanno un prezzo determinabile. Ma quello dell’energia non è un prezzo fondato sulla limitatezza del bene, ma su altre logiche, più attinenti all’accessibilità e presidiabilità delle sue fonti.
L’incidenza del fattore energia fossile, appare già più evidente quando guardiamo alla politica o alla distribuzione del potere e dei rapporti di forza fra le nazioni e le aree del pianeta; alle armi, alle guerre… Sorvolando sulle finalità delle guerre, che spesso sono state determinate proprio dall’obiettivo di presidiare i luoghi di accesso alle fonti di energia fossile o di creare le condizioni geopolitiche per il loro controllo; pensiamo anche solo alle modalità con cui si combattono tali guerre. Dall’avvento delle fossili, le guerre sono diventate “mondiali”, con dispiego di mostri meccanici inimmaginabili prima: mezzi terrestri pesanti come edifici, mezzi aerei che consumano in un’ora l’energia che un’auto consuma nella sua vita utile. Un discorso analogo vale peraltro per altre fonti di energia, si pensi alla vicenda dell’energia nucleare e del suo sfruttamento per fini bellici.
Ma a dispetto delle apparenze, non sono quelli citati finora gli ambiti dove l’impatto della smodata disponibilità di energia fossile è più importante. Per capire la nostra reale difficoltà a superare questo modello basato sul fossile, è più importante rendersi conto che tale enorme quantità di materia estratta dalla pancia della Terra, ha plasmato nel profondo anche ogni altro aspetto della società: dalla cultura, all’arte, dall’architettura alle forme espressive, dalla costruzione dell’immaginario collettivo, fino agli stili di vita, ai modelli e ai progetti e di vita, all’agire sociale e alle forme organizzative sociali… per ammantare in sostanza, la stessa visione del mondo e della realtà di chi vive in questa epoca.
Un esempio molto pratico. Se oggi prendiamo un aereo o una nave o ci spostiamo con mezzi pesantissimi nonostante sappiamo bene quanto sia insostenibile per l’ambiente che ci ospita, è perché l’enorme disponibilità di energia fossile a basso costo le ha rese azioni possibili e “naturali”. Ancor prima: se abbiamo concepito, progettato e prodotto questi mezzi, è per la stessa ragione. Ma non ce ne rendiamo più nemmeno conto. Certamente non ci sembra che facendo un giretto in auto o prendendo un aereo per andare a visitare Parigi, stiamo assestando un colpo mortale alla nostra specie: che diamine, in fondo stiamo solo facendo solamente una cosa “normale”! E questo vale anche per chi è più sensibile al problema e ne ha piena consapevolezza che però risponde: “non posso privare me e la mia famiglia della possibilità di viaggiare e vedere il mondo, dobbiamo vivere il nostro tempo“.
Più in astratto, la disponibilità di energia che ci consente di pianificare i nostri spostamenti di una giornata, di un lungo viaggio, di un piano di lavoro o di studi, incide direttamente sulla nostra percezione del tempo, della possibilità di disporne, delle potenzialità e dei talenti che possiamo sviluppare nel nostro percorso di vita, nella nostra realizzazione personale. Incide cioè, sulla nostra libertà di essere ciò che vogliamo e quindi sulla costruzione della nostra stessa identità… in sostanza l’energia fossile è immanentemente parte di noi.
Due paradossi quindi. Il privilegio che rappresenta anche la minaccia esiziale per la nostra specie, è il primo. La scarsa consapevolezza di noi umani, di quanto l’abbondanza di energia, sia fondante e pervasiva per la nostra vita personale e collettiva, è il secondo. Da questa inconsapevolezza derivano conseguenze molto importanti.
Una conseguenza fra le più emblematiche riguarda le energie rinnovabili. Nel contesto descritto esse non sono solo una fonte di energia pulita al cospetto di quelle tradizionali, più inquinanti. Le rinnovabili rappresentano piuttosto un’autentica “rivoluzione”, una sorta di eresia antisistema. La loro natura – pulite ma incostanti, non sempre abbondanti e non sempre disponibili come e dove vorremmo – impone a chi le utilizza di essere consapevole di quanta energia serve in ogni cosa che intende fare, di accettare dei limiti in ciò che può fare. In sostanza l’energia rinnovabile ci impone di essere sobri e consapevoli. Ci impone in sostanza, di porci in sintonia con la natura, quando una delle più grandi “conquiste” dell’epoca industriale è stata proprio l’emancipazione dai tempi dettati dalla natura, dalla luce del giorno, dai cicli delle stagioni…
Le rinnovabili ci ripropongono una situazione esattamente all’opposto di quella a cui siamo abituati da un paio di secoli a questa parte, durante i quali abbiamo conosciuto un progresso straordinario diventando una specie del tutto autoreferenziale rispetto all’ambiente che la ospita e sostanzialmente no limits in tutto ciò che pensiamo e facciamo.
Un altro esempio pratico e di grande attualità. Che cosa spaventa di più il “consumatore” abituato all’automobile tradizionale, di fronte al passaggio all’auto elettrica a batteria? Al di là del prezzo, che immaginiamo per un attimo sterilizzato da un buon incentivo economico, ciò che spaventa di più è l’autonomia: l’automobilista ci dicono, è affetto dall’ “ansia da ricarica”. E da cosa deriva questa ansia se non dal fatto che siamo “educati” ad avere sempre a disposizione energia in grande quantità, on demand? I nostri avi, dalle prime civiltà della Storia fino grossomodo ai nostri trisnonni nati nell’800, dovevano contare sulle proprie gambe o su un paio di buoi. Noi no, noi siamo no limits.
Ciò è emblematico del nostro approccio culturale. Per noi “progresso” e “modernità”, si accompagnano esattamente alla grande disponibilità di energia e alla totale indifferenza di ciò. In questo senso l’auto elettrica a batteria è un’altra eresia. Non è necessariamente vero che essa non garantisca autonomia sufficiente per i nostri bisogni, ma ugualmente questa è la principale paura dell’automobilista. Energie rinnovabili e auto elettrica, appartengono ad un nuovo paradigma culturale, per questo sono “spiazzanti”.
L’automobile in realtà è un emblema, una metafora. Bulimici di energia fossile e inconsapevoli di ciò, è l’intero nostro stile di vita che temiamo possa essere minacciato dall’abbandono delle fossili.
Come ci ricorda il filosofo Galiberti, noi chiamiamo “paura”, quella che in realtà è “angoscia”. La paura è una difesa da pericolo determinato. L´angoscia, invece, è un sentimento che insorge di fronte all´indeterminatezza di una minaccia non identificabile, ma vissuta come certa. Noi come specie, proviamo angoscia di fronte al cambiamento di uno dei pilastri fondanti la cultura della nostra civiltà. Dovremmo piuttosto avere paura della crisi climatica provocata dal nostro modello: un pericolo chiaro, determinato, conclamato. Invece blocchiamo il tentativo di sventare questa minaccia concreta, per l’angoscia che ci crea la minaccia infondata e irrazionale di perdere il progresso conseguito. In questo modo è comprensibile perché una linea di pensiero si spinga addirittura a negare i cambiamenti climatici e le loro gravi conseguenze.
La realtà quindi, è che sostituire la fonte di energia che alimenta la nostra civiltà, da fossile a rinnovabile, produrrebbe un profondo cambiamento culturale, filosofico e socioeconomico, più ancora che tecnologico ed è per questa ragione che le rinnovabili – e la transizione ecologica – sono avversate con grande dispiego di mezzi. Certo, anche perché modificano i rapporti di forza a livello globale e intaccano lucrose rendite di posizione, ma non principalmente per questa ragione. Le rinnovabili sono avversate anche dalle persone comuni, ma per motivi culturali: perché attentano agli stili di vita, alla visione stessa della vita, all’identità; perché in un certo modo sono una minaccia esistenziale.
Negli ultimi anni, dalla degenerazione dell’avversione antiscientifica e antipolitica ad una gestione della pandemia da Covid per certi versi criticabile, si è sviluppato un robusto e popolare filone cospirazionista, che considera transizione ecologica, energie rinnovabili, auto elettriche, eccetera, invenzioni di una regia occulta planetaria di stampo dittatoriale e oscurantista innescando, altro paradosso, una spinta conservatrice e di sostegno di fatto ai veri poteri che da sempre basano la loro fortuna sulle energie fossili. E’ evidente che simili insensate ideologie traggono linfa da una crisi di identità culturale conseguente alle messa in discussione di questo nostro modello di sviluppo. L’ultimo paradosso è che proprio nel momento storico in cui viene finalmente intaccata la costosa e inquinante dipendenza dal petrolio, dalla proliferazioni di mezzi a motore di ogni foggia, dai costi e dalle vessatorie tassazioni cui si accompagnano, in tanti vi si aggrappano disperati, angosciati.
Così come hanno fatto le fossili con la loro bulimia, le energie rinnovabili impronterebbero della loro finitezza e sobrietà la nostra civiltà. Sobrietà e finitezza e non più bulimia e no limits, diventerebbero i fondamenti culturali per le persone e la società: accettare i limiti, tornare a mettersi in sintonia con i tempi e i ritmi della natura – come prima delle fossili del resto – tornerebbe ad essere il normale orizzonte quotidiano per le persone.
Quindi, se non riusciamo ancora a debellare la minaccia rappresentata dalle emissioni climalteranti e dal depauperamento delle risorse naturali non rinnovabili, fatti quest’ultimi strettamente correlati, è anzitutto perché il cambiamento necessario investe direttamente le fondamenta della nostra civiltà e della nostra cultura e questi non siamo disposti a metterli in discussione. Non ancora almeno. Non solo per cattiva volontà di qualcuno, ma per sostanziale incapacità culturale e intellettuale e per paura. Paura preziosa per chi lavora alacremente per ostacolare il cambiamento.
Mauro Moretto 01 09 2023
NOTE
(1) Nel 2022 abbiamo utilizzato, ogni giorno, 14 miliardi di litri di petrolio, 10 miliardi di metri cubi di gas naturale, 22 miliardi di chilogrammi di carbone. La nostra civiltà galleggia inconsapevole su questa enormità. Attenzione però, è l’energia “che utilizziamo” non quella che “ci serve”: buona parte di questa energia primaria infatti – almeno il 60-70% – la impieghiamo in modo molto inefficiente, sprecandola e causando emissioni evitabili.
(2) Robert Ayres e Benjamin Warr, nel 2009 definirono un modello della crescita economica che a capitale e lavoro affiancava l’energia e precisamente, l’exergia, ovvero la percentuale di energia totale che può essere sfruttata per lavoro utile, invece di andare dispersa sotto forma di residui e calore. Applicando il modello ai dati di crescita di USA, UK, Giappone e Austria, videro che l’exergia poteva dimostrare la gande maggioranza della crescita economica di questi Paesi… (in “Doughnut Economics – L’economia della ciambella – Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo”, Edizioni Ambiente, 2017, pagg. 264-265)