La risposta è semplice e complessa al tempo stesso.
L’umanità è alle prese con una sfida epocale. Si tratta infatti di modificare un modello di sviluppo socio economico che sta producendo, oltre che sviluppo e prosperità anche, come effetti collaterali, enormi danni agli ecosistemi globali. Effetti che se non neutralizzati, molto probabilmente distruggeranno non il pianeta, né la vita sul pianeta, ma le condizioni che consentono la persistenza della vita umana, della nostra specie.
La posta in gioco quindi, è piuttosto importante e altrettanto lo è la dimensione del cambiamento necessario. Parliamo di un modello consolidatosi nel corso del tempo, a partire dall’epoca industriale e con una forte accelerazione negli ultimi decenni. Un modello che non è solo funzionale, composto cioè di prassi e procedure produttive o di comportamenti, riprogettabili, rivedibili. Esso infatti, ha improntato anche la cultura umana, la psicologia sociale, fino alla visione e alla psicologia dei singoli esseri umani, in ogni cultura sulla faccia del pianeta. Negli anni ottanta, per identificare questa Era fortemente caratterizzata dall’azione dell’uomo, il biologo Eugene Stoermer coniò il termine Antropocene.
Per uscire dall’Antropocene, è necessario quindi innescare un cambiamento di enormi dimensioni, profondità e complessità. Una transizione che non può non scontrarsi con molteplici ostacoli: in breve, solo tre.
Il primo è la scarsa consapevolezza della situazione e della sua gravità da parte della maggioranza della popolazione mondiale, con numerose eccezioni positive, che però non modificano il quadro generale. La mancanza di consapevolezza è legata anzitutto all’ignoranza ma non solo, perché quando la conoscenza c’è, si può non prendere atto della situazione per mancanza di volontà (negazionismi, giustificazioni autoconsolatorie, indifferenza), ma anche l’effettiva impossibilità a reagire perché pressati dalla mancanza di mezzi.
Il secondo fattore è la complessità degli interessi, minacciati dalla prospettiva del cambiamento.
Il terzo è l’oggettiva difficoltà a modificare strutture, processi e filiere produttive, modelli di consumo, prassi consolidate e collaudate, con alternative tutte da pensare, progettare, sviluppare.
In sintesi, si tratta in sostanza di “cambiare il mondo” così come lo conosciamo, un mondo però che non vuole affatto essere cambiato e che già fatica a funzionare così imperfetto com’è ora.
Impresa molto difficile, forse impossibile ma, se la guardiamo da un altro punto di vista, una sfida stimolante ed esaltante che da impulso ad un’epoca ricchissima di stimoli, prospettive, opportunità. Un’epoca che offre all’umanità intera un nuovo orizzonte, anche ideale, culturale, politico, dopo l’eclissi delle ideologie e la “morte della storia”. Un nuovo rinascimento, esaltante e positivo per chi lo comprende e lo cavalca portando il proprio contributo e al contempo una lenta sofferenza per chi rimane aggrappato al vecchio paradigma.
Eccoci dunque, noi tutti siamo nell’Antropocene, per superare questa situazione e far si che non sia l’ultima per l’uomo, volenti o nolenti, consapevoli o meno, dobbiamo entrare nell’era della transizione alla sostenibilità. Noi siamo tra i tantissimi che, pienamente consapevoli, nel loro piccolo lavorano per l’affermarsi del nuovo paradigma della sostenibilità.